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Valdilocchi: un microcosmo dove il tempo sembra essersi fermato In evidenza

di Anna Mori – Settant’anni di abbandono hanno preservato la vegetazione spontanea della macchia mediterranea, creando un’isola incontaminata nell’immediata periferia industriale della città.

Dopo aver lasciato l’auto al campo sportivo di Pagliari, si inizia l’ascesa alla Batteria Valdilocchi percorrendo la strada militare costruita appositamente per collegare la batteria. Questa era solo una della fitta rete di collegamenti che legava il sofisticato sistema delle 46 fortificazioni del nostro golfo erette a difesa dell’allora neo nata base navale.

Nel primo tratto si attraversa una vegetazione boschiva costituita essenzialmente da castagni grazie al terreno umido e all’ombra che interessa l’area per quasi tutto l’arco della giornata.
Salendo il panorama si apre verso il mare e la pianura, un anfiteatro ampio e naturale dove la vegetazione boschiva lascia spazio alla macchia mediterranea. Sembra di entrare in un microcosmo distante anni luce dal complesso produttivo che si trova a valle dove l’operosità e il movimento si oppongono alla tranquillità, silenzio e immobilità di questo luogo.

 

La Batteria è rimasta operativa fino al 1914 anno in cui armi e munizioni sono state trasferite al fronte orientale per sopperire alla carenza di artiglieria sofferta dall’Esercito. Al termine della Grande Guerra, Valdilocchi divenne un deposito di polveri e munizioni. Dopo l’8 settembre 1943 la batteria venne occupata dalle truppe tedesche che vi rimasero fino alla fine del conflitto. Al momento della ritirata minarono 3 caponiere e l’ingresso principale per renderla inservibile. Questo portò ad un totale abbandono del luogo che usci dai circuiti del luoghi vissuti della parte orientale del golfo.

Settant’anni di abbandono hanno contribuito a preservare la vegetazione spontanea tipica della macchia mediterranea  che si è sostituita gradualmente ai terrazzamenti tipici del paesaggio rurale: questa particolare situazione ha permesso di preservare una particolare biodiversità creando un’isola incontaminata immersa nell’immediata periferia industriale della città.
Foreste di corbezzoli dove i frutti occhieggiano tra il verde con le loro meravigliose sfumature rosse, arancioni e gialle. Un po' dappertutto i cespugli di mirto carichi di bacche nere dal profumo intenso. E poi ancora le piante di erica punteggiate dai piccoli fiori con colori che vanno dal rosa, al viola, al porpora. Tantissimi arbusti d ’erica arborea che chiamiamo in dialetto ‘stipa’ e che venivano usati per fare le scope: una pianta immortale, dalle radici ignifughe. Tante ancora le piante spontanee che popolano i dintorni della Batteria, protagoniste di antichi saperi, ricette e rimedi che possono passare inosservate, ma che grazie all’occhio esperto di un erborista possiamo imparare a conoscere: la malva con i suoi fiori dal caratteristico colore violetto, la melissa, l’elicriso.

 

Lungo tutto il percorso, sul lato della strada, il sistema di canalizzazione delle acque, un esempio di rara perizia, tanti piccoli ciottoli accostati in un mosaico, una vera opera d’arte frutto di una cura e di tempo dedicato che oggi, con i ritmi convulsi della vita, sarebbe impensabile concepire. Niente è lasciato al caso, tutto è pensato, progettato e realizzato per uno scopo ben preciso, tanti tasselli che compongono un tutto eccezionale ed efficace, ogni parte compone la Batteria che compone il sistema fortificato del Golfo. Anche presso la Batteria era stato predisposto un efficace sistema per la canalizzazione delle acque meteoriche con raccolta delle stesse e depurazione presso un sistema di cisterne sotterranee.

Arrivati sulla sommità della collina, la strada si apre in un ampio piazzale ed ecco che a destra la vista spazia sul nostro golfo fimo a Santa Teresa da una parte e la Palmaria e il Tino dall’altra, e poi verso il mare aperto. Ma che meravigliosa opera di ‘ingegneria naturale’ il Golfo dei Poeti, lo conosciamo da sempre, ma ogni volta osservarlo è un’emozione unica per la sua bellezza che davvero toglie il respiro.
Sulla sinistra, invece, appare in tutta la sua maestosa eleganza l’opera di ‘ingegneria umana’, la Batteria Valdilocchi, edificata intorno al 1880 per difendersi dagli attacchi provenienti dal fronte terrestre, ovvero dalla Piana del Magra, dalla Via del Buonviaggio, dalla Via Aurelia e dalla Strada per Pitelli. Era posta anche come avamposto a difesa della zona sottostante che costituiva un comprensorio strategico dal punto di vista logistico, militare e industriale che ospitava, tra gli altri, gli insediamenti specializzati in produzione di armi, come la Vickers Terni, e i cantieri di San Bartolomeo e Muggiano.
Scorgiamo i segni della ritirata tedesca, il ponte levatoio a contrappesi e il fossato originari non esistono più, al loro posto un’ampia apertura che ammette al piazzale centrale dove si affacciano tutte le stanze di servizio della Batteria. Sulla sinistra è ancora intatta una porzione del muro di cinta lato mare con una fila di caratteristiche finestrelle a lunetta .Un’architettura tipica del nostro sistema fortificato dove, nonostante ogni manufatto sia diverso dall’altro, è sempre caratterizzato da elementi comuni che contribuiscono a rendere famigliare a noi spezzini questo tipo di costruzioni: le pietre grigie di arenaria tipiche delle cave del Golfo, la forma a semiarco delle porte sovrastate da una fila di mattoni in terracotta che spiccano con il grigio della pietra, gli angoli e le finestre rifiniti con pietre più chiare denotano anche un senso estetico nell'architettura militare.
Sul retro, possiamo ancora osservare una porzione del fossato che originariamente circondava tutta la Batteria: era difeso da quattro caponiere, di cui oggi ne rimane solo una, le altre sono state minate in occasione della ritirata tedesca.

All’interno un efficace sistema di corridoi collega le stanze logistiche, gli alloggi e i depositi delle polveri con il loro ingegnoso sistema di illuminazione a prova di innesco accidentale. 8 corridoi consentivano lo spostamento da una parte all'altra della batteria senza esporsi al tiro nemico. A protezione dei depositi delle munizioni, anche un sistema contro i possibili effetti dei fulmini sulle polveri e i munizionamenti: dopo lo scoppio della Batteria di Falconara del 1922, tutti i parafulmini vennero sostituiti da un sistema di protezione contro le scariche atmosferiche tipo Gabbia di Faraday o parafulmine retivolari, le cui tracce sono ancora visibili anche a Valdilocchi.

La batteria, dalla pianta pentagonale, era integrata in maniera perfetta nella morfologia della collina: a distanza era praticamente invisibile grazie ad un riporto in terra che aveva una funzione protettiva della struttura contro i proiettili nemici.

 

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