Dalla tragedia alla mobilitazione: domani Piazza Matteotti racconta il coraggio delle donne

Manifestazione silenziosa contro la violenza: il Gruppo Vittoria in Piazza Matteotti

Adesso è il momento di chi ogni giorno affronta queste tragedie: operatori sociali e volontari.

Domani, alle 20:00 in Piazza Matteotti a Sarzana, il Gruppo Vittoria manifesterà in silenzio, per sensibilizzare la cittadinanza e raggiungere le donne che subiscono violenza nell’ombra. L’organizzatrice Daniela Delucchi (ma tutti la chiamano Nea) ha scelto la nostra testata per promuovere l’iniziativa: una presenza silenziosa, ma potente, per denunciare anni di abusi e violenze.


Daniela, lei è genovese ma da anni vive nella provincia della Spezia: cosa l’ha spinta a scegliere la nostra provincia? Mi sono sempre occupata di fragilità sociali, con particolare attenzione al reinserimento sociale e lavorativo. Negli anni ho incontrato troppe donne che avevano subito il potere e gli abusi di uomini che avevano segnato profondamente le loro vite. Per me è stato naturale scegliere di stare accanto a loro, supportandole nella protezione, nella rinascita e nel riscatto.


Lei è la responsabile dell’Associazione Vittoria: ci può raccontare cosa fa l’Associazione e perché ha deciso di sostenere questa realtà? L’Associazione Vittoria è nata più di dieci anni fa da un’idea mia e di un gruppo di donne sarzanesi. Inizialmente il nostro obiettivo era sensibilizzare la comunità sull’importanza della prevenzione della violenza di genere. Con il tempo, però, abbiamo percepito dal territorio una richiesta sempre più pressante di interventi concreti: non solo cultura e prevenzione, ma anche protezione e supporto diretto alle donne in pericolo. Così è nato prima uno sportello  di ascolto, poi l’attuale Centro Antiviolenza, che oggi accoglie, sostiene e accompagna le donne in percorsi di uscita dalla violenza.


 Dopo il femminicidio di Tiziana, avvenuto proprio nella nostra provincia, delle donne si sono rivolte a lei ?
Devo essere sincera: all’inizio ho provato un senso di frustrazione, sconforto, fallimento, sconfitta… e un profondo senso di colpa per non essere riuscita a fare abbastanza. Poi, superato il primo impatto emotivo, insieme al dolore è arrivata una consapevolezza: molto è stato fatto e molto si sta facendo, e questo le donne lo devono sapere. Come operatori, dobbiamo imparare a congelare il dolore per analizzare non tanto le colpe, ma le falle, con l’obiettivo di migliorare i sistemi di protezione e capire come prevenire che possa accadere ancora.

Secondo lei, se i dispositivi di sicurezza avessero funzionato correttamente, Tiziana avrebbe potuto essere salvata? Non lo so. Non conosco nei dettagli la situazione, che è coperta da segreto istruttorio. Posso dire che il braccialetto elettronico è uno strumento molto utile, ma non è la soluzione a tutti i problemi. Non è una bacchetta magica capace di prevenire ogni rischio. È necessaria un’analisi del rischio adeguata e continuamente aggiornata, tenendo conto di molte variabili. Il braccialetto segnala un avvicinamento entro 500 metri: se un uomo è determinato a uccidere, possono bastare pochi secondi per agire, e in quel caso il tempo di intervento non sarebbe sufficiente e quindi occorre utilizzare altre misure più restrittive ed efficaci. Se invece il rischio è solo un avvicinamento potenzialmente pericoloso, allora sì, il margine di intervento c’è e il corretto funzionamento del dispositivo diventa fondamentale.

Quando si parla di femminicidi spesso sembrano tragedie lontane, ma stavolta è successo qui: il Centro segue altri casi critici nella nostra provincia? Sì. Nella sola Val di Magra riceviamo in media una nuova richiesta di aiuto ogni settimana. Purtroppo, la cronaca riporta soprattutto i casi in cui si è fallito. Quando invece si riesce a proteggere una donna, a sventare un’aggressione o a prevenire un femminicidio, queste storie raramente arrivano ai giornali, perché la tutela della privacy della donna viene prima di tutto. Non diffondere informazioni è spesso una scelta necessaria per proteggere l’identità e la sicurezza di chi si è salvata. Questo però può creare una percezione distorta, quasi l’idea che chiedere aiuto sia inutile. E invece non è così: dietro le quinte, ogni giorno, si evitano tragedie che semplicemente non finiscono sulle pagine di cronaca.

La situazione della nostra provincia è in linea con quella nazionale: siamo di fronte a un vero disastro o possiamo considerarla una realtà relativamente privilegiata? Nessun privilegio. I dati rapportati al numero di abitanti sono in linea con i numeri nazionali. E’ una situazione da non sottovalutare

Quando l’Associazione viene a conoscenza di donne che stanno vivendo situazioni critiche, come interviene concretamente? Ogni caso è unico. Se è vero che molti segnali di allarme si ripetono, i contesti e le storie personali sono sempre diversi. In estrema sintesi, il nostro intervento segue due linee: la prima è costruire una relazione di fiducia e collaborazione con la donna, senza la quale nessun percorso è possibile.La seconda è coinvolgere tutti gli attori necessari, interni ed esterni: dalle nostre avvocate e psicologhe, ai servizi sociali e alle forze dell’ordine, valutando anche l’esigenza di un’accoglienza in casa rifugio. Insieme, costruiamo un progetto individuale a breve, medio e lungo termine, che tenga conto sia della protezione immediata – attraverso un’analisi del rischio costante e aggiornata – sia di una progettualità di autonomia, per garantire alla donna la possibilità concreta di ricostruirsi una vita libera e sicura.

Lei e l’Associazione Vittoria collaborate con le forze dell’ordine: come avviene questa collaborazione e quali risultati produce? È un lavoro costante a quattro mani. Dalla nascita del Centro Antiviolenza, grazie soprattutto alla collaborazione con il maggiore Panfilo, si è creato un continuo scambio di informazioni e competenze. Lavoriamo insieme su prevenzione, analisi del rischio, redazione delle denunce, ma anche in tutte quelle fasi che vanno oltre l’iter giudiziario. I ruoli di un CAV e delle forze dell’ordine sono diversi, ma quando si integrano in modo complementare, i risultati sono concreti. E sono riscontrati soprattutto dalle donne che seguiamo

Se dei cittadini volessero sostenere il vostro lavoro, sia economicamente sia attraverso il volontariato, come potrebbero fare? Sono una genovese anomala: non amo chiedere soldi. Preferisco partecipare a bandi e intercettare finanziamenti. Il sostegno che chiediamo è soprattutto in termini di presenza: nuove operatrici, volontarie, ma anche cittadini che possano mettere a disposizione competenze e reti di contatti. Faccio un esempio: una cittadina sarzanese che lavora nel settore immobiliare ci aiuta a trovare soluzioni abitative per rendere autonome le donne che seguiamo. Per questo dico: conosceteci, chiedeteci, parlateci. Noi ci siamo!

Per la manifestazione di domani è prevista anche la partecipazione di donne delle istituzioni?
Sì, è prevista e auspicata la presenza delle istituzioni, di uomini e donne.

Perché avete scelto un presidio e un corteo silenzioso come forma di risposta e memoria?
Per rispetto a Tiziana e alla sua famiglia. In questo momento non abbiamo bisogno di rabbia impulsiva, ma di presenza e unione. A volte il silenzio può fare più rumore di mille tamburi.

Quali azioni concrete e immediate chiedete alle istituzioni per proteggere le donne e fermare i femminicidi?
Chiediamo di continuare e migliorare ciò che già si sta facendo. Di imparare dai fallimenti, per rafforzare la prevenzione, la protezione e il sostegno alle donne. L’obiettivo è uno solo: che tragedie come questa non si ripetano.

Grazie Nea, per quello che fai. domani anche noi saremo presenti in Piazza Matteotti e non certo per restare in silenzio, ma per raccontare, con la nostra penna, come un gruppo di donne coraggiose come te opponga quotidianamente resistenza a una realtà che spesso non trova risposta nella società

 

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